“I sovietici… scusate… i russi”. Lapsus di guerra.

La situazione di guerra guerreggiata tra la Federazione Russa e lo stato ucraino e quella di guerra economica, a colpi di sanzioni, tra la Federazione Russa e i paesi dell’area NATO, ha fatto certamente risorgere nelle menti il clima della guerra fredda e, con esso, il moltiplicarsi dei lapsus linguae che confondono l’attuale stato russo con l’antica Unione Sovietica. Un lapsus che avviene, tra l’altro, indipendentemente dal posizionamento politico. Non passa giorno che non ne senta in gran numero sui vari canali televisivi e radiofonici, per non dire della comunicazione sui social media e, onestamente, non mi sembra affatto che avvenisse con tale frequenza in passato, particolarmente quando ciò avviene da parte di professionisti dell’informazione. La cosa può apparire secondaria ma, osservata con attenzione, rivela una serie di aspetti interessanti.

Innanzitutto la cosa più ovvia: il clima da guerra fredda indubbiamente si è ricreato e questo può spiegare in buona parte l’origine dei lapsus. Se escludiamo i temi da “grandioso dramma ideologico” che, secondo lo storico Eric Hobsbawm ha caratterizzato il “secolo breve”, insomma il periodo 1914-1991 della storia mondiale, indubbiamente sembra di rivivere uno dei momenti del secondo dopoguerra in cui una delle superpotenze dotate di un armamento atomico impressionante decideva di far guerra ad uno stato minore per sottrarlo alla sfera di influenza dell’avversario altrettanto atomicamente armato, in cui l’altro contendente ed i suoi alleati evitavano l’intervento diretto per il timore di uno scontro nucleare nel quale avrebbero perso tutti perché avrebbe distrutto l’intera umanità e si limitavano a fornire supporto logistico (armi ma anche truppe mercenarie) al paese invaso, nella speranza che questo riuscisse a vincere o, per lo meno, logorasse con la sua resistenza le capacità offensive ed espansive dell’avversario.

Fatta la tara del fatto che all’epoca non esistevano i social media e anche il numero delle testate radiofoniche e televisive era decisamente minore, anche il gioco della propaganda da entrambe le parti riecheggia quello del periodo pre 1991: di là di aspetti generali tipo la guerra delle cifre o l’invenzione di fatti inesistenti e/o platealmente deformati, è interessante notare come anche adesso troviamo l’esaltazione di personaggi dalla moralità politica e personale a dir poco dubbia, per cui l’unico effettivo loro merito oggettivo, dal punto di vista di chi sta da un determinato lato della barricata, è quello di essere situati nel proprio schieramento – di essere “i nostri bastardi”. Anche in questa guerra ci sono personaggi del genere, santificati da un lato e demonizzati dall’altro nella propaganda mediatica a seconda dello schieramento in cui sono posizionati, la qual cosa anch’essa ricorda da vicino le dinamiche della guerra fredda – la prima caratterizzata dall’uso dei media elettronici di comunicazione di massa.

In un clima del genere, insomma, non è difficile commettere lapsus anacronistici. In effetti già il vecchio filosofo cinese K’ung fu-tzu, italianizzato in Confucio, faceva notare come gli esseri umani hanno uno strano rapporto con la relazione tra i nomi e le cose e che occorrono di tanto in tanto dei “raddrizzatori di nomi”.[2] Traducendo le cose in termini molto moderni ed astraendo dal senso politico originario alquanto reazionario, in effetti Confucio faceva notare come i nomi, se applicati alle cose del mondo umano e non a quelle del mondo naturale, tendono a sopravvivere al mutamento delle cose, insomma si continua a denominare gli umani e le loro relazioni con le parole con cui le si nominò all’origine, anche se esse possono essere totalmente cambiate – per fare un esempio, affine a quello da cui stiamo partiti, pensiamo a quanti oggi parlano dei militanti e dirigenti del PD come “comunisti”.

Il vecchio Confucio sosteneva, e in questo senso non aveva torto, che fenomeni del genere creavano confusione nella società e, periodicamente (all’incirca ogni generazione) occorrerebbe “raddrizzare” i nomi, in altre parole riportare una qualche forma di coerenza tra le parole e le cose – tra significanti, significati e denotati diremmo oggi – e sicuramente si sarebbe divertito a notare i presenti lapsus linguae tra l’attuale Federazione Russa e la vecchia Unione Sovietica. La cosa però ci può far capire qualcosa di più profondo.

In effetti, in apparenza questo genere di fissazione dei nomi a cose che non sono più tali, per dirla con termini confuciani, nel caso specifico dovrebbe esserci con maggiore difficoltà e minore frequenza: le differenze tra una società dove, tendenzialmente, i governi accentravano nelle loro mani il grosso dei mezzi di produzione ed una dove i mezzi di produzione sono in mano a gruppi privati, dove tendenzialmente la prima è retta da una dittatura monopartitica e l’altra da una dittatura militare o da una democrazia liberale multipartitica, ecc. sembrerebbero particolarmente evidenti. Per capirci: se trent’anni fa Mario era un uomo sposato e con figli ma poi ha fatto una serie di operazioni chirurgiche e cure ormonali e oggi è una donna di nome Virgilia, tranne forse nei figli e conoscenti stretti e di lunghissima data, difficilmente scatterà nella maggior parte di noi un lapsus che ci porterà a chiamarlo, dopo ben trent’anni in cui è cambiato, ancora Mario.

Continuiamo su quest’esempio. Dicevamo che un simile lapsus tra “Mario” e “Virgilia” dopo tanti anni potrebbero farlo con una certa frequenza solo figli e conoscenti stretti e di lunghissima data, e il perché è ovvio: questi riconosceranno nel soggetto in questione delle invarianti caratteriali che, in quel momento, sopravanzeranno le particolarità mutate – queste saranno ritenute inessenziali nella condizione specifica. Tornando al nostro tema originario, questo significa che di fronte alla guerra attuale, il fatto che si sia di fronte a uno scontro tra paesi tutti di provata fede nel capitalismo neoliberista, nella psiche di chi commette il lapsus è ritenuto secondario per differenziarla rispetto a situazioni simili che avvenivano quando lo scontro avveniva nel cuore del “grandioso dramma ideologico”. In altri termini, che i possessori delle aziende lo fossero e sfruttassero la forza lavoro in quanto dirigenti del partito o che oggi lo siano in quanto proprietari privati, non è ritenuto un dato essenziale.

Non è detto che l’inconscio si sbagli e questa volta probabilmente vede nel giusto: d’altronde la critica radicale ai paesi del socialismo (ir)reale – Russia, Cina, Cuba, ecc. – che li vede come paesi capitalisti ideologicamente mascherati è ben nota ai lettori di questo giornale. Questa, però, non è necessariamente una buona notizia: innanzitutto perché ci fa capire come il rischio di una guerra termonucleare non sia certo cosa del passato, legata ad un particolare “dramma ideologico”, ma può tranquillamente ripresentarsi in uno scontro imperialista tra paesi sostanzialmente affini dal punto di vista sociale. Poi perché, tornando confuciani, la confusione è grande sotto il cielo e, specie quando tali lapsus vengono “da sinistra” o addirittura si simpatizza esplicitamente con la Russia putiniana in base ad analisi che hanno le loro radici ai tempi dell’apprezzamento per l’Unione Sovietica, la situazione non è affatto eccellente. Occorre lavorare per far sì che l’alternativa a un presente che, da un lato, porta miseria, morte e umiliazione alla stragrande maggioranza dell’umanità, dall’altro, minaccia concretamente la stessa esistenza della vita sul pianeta, venga vista in una società davvero altra dallo stato presente delle cose, una società senza classi, senza potere politico, senza guerre.

Enrico Voccia

NOTE

[1] HOBSBAWM, Eric, Il Secolo Breve. 1914-1991, ultima edizione italiana Milano, Rizzoli, 2014.

[2] Il tema ricorre in particolare nei Dialoghi (o Analecta) di Confucio, divenendo famoso al punto che la scuola confuciana venne anche definita la “scuola dei raddrizzatori di nomi”. CONFUCIO, Dialoghi, Torino, Einaudi, 2006 o la libera edizione in rete https://www.liberliber.it/mediateca/libri/c/confucius/i_dialoghi/pdf/confucius_i_dialoghi.pdf

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